Universo di sapere: la sete di conoscenza dell’uomo

Terra, sole e luna. È questo l’immaginario prevalente per la maggior parte della società. Tre entità, due delle quali scandiscono la luce ed il tempo di quella sfera infinitamente grande dove noi viviamo, la Terra. Grandi ricerche, anni di osservazione e continue spedizioni non lasciano ormai più scampo alla fantasia dei nostri figli i cui disegni hanno sempre visto la Terra al centro e tutti gli altri pianeti grigi intorno.

Un grigio scuro color polveriera a testimonianza di una vita che non è mai iniziata o che è finita del tutto. Ma l’essere umano, essere incontentabile e curioso per natura, vuole sempre di più. Vedere per credere, quasi a voler disturbare un equilibrio dato per vero in cui tutti si rispecchiano troppo comodamente. E così si organizzano grandi spedizioni nell’universo, uno spazio vuoto perforato da navicelle ultramoderne finanziate da investimenti a tanti zeri.

Marte, il pianeta rosso ricco di acqua

Un tempo si parlava solo della luna, la scoperta della quale andava di pari passo con la comparsa di agenzie di viaggio “spaziali” che raccoglievano prenotazioni postdatate. Ora è il turno di un altro oggetto misterioso che si cela in qualche angolo dell’universo, il pianeta Marte.

Fino ad oggi l’unica cosa che sappiamo è che Marte, oltre ad essere una divinità dell’antica Grecia, è un pianeta del sistema solare dal colore rosso tendente al rosa. Dopo le prime osservazioni risalenti all’epoca di Galileo, solo nel ventesimo secolo sonde automatiche, soprattutto a stelle e strisce, vennero inviate sul pianeta volte a rilevare la presenza di possibili forme di vita.

La novità assoluta è che, benché non esistano prove ufficiali della presenza umana o animale sul pianeta, sembra che sul “pianeta Rosso” ci sia acqua allo stato liquido. La notizia, di quelle che capovolgono la concezione di un pianeta fatto solo di rocce e ghiacci, è stata data dalla Nasa ed è il risultato di una ricerca che si protraeva dal lontano 1970.

L’agenzia spaziale americana ha confermato l’esistenza di “lunghi crateri lunghi circa un centinaio di metri e larghi cinque” che contengono acqua salata alla stato liquido che ha la caratteristica di scorrere per poco tempo prima di evaporare, viste le temperature e i valori atmosferici.

Criteri simili a dei veri e propri ruscelli che sono stati individuati quando la temperatura del pianeta si attesta sopra determinati valori, stimati intorno ai 23 gradi. Ora l’attenzione si è spostata sulle cause che conducono a questo insolito fenomeno mai osservato prima.

C’è chi sostiene che la presenza di acqua sia dovuta allo scioglimento dei ghiacci durante l’estate; c’è chi ipotizza la presenza di falde acquifere nel sottosuolo o chi preferisce attribuire la causa all’aumento dell’umidità marziana in alcuni periodi dell’anno.

In attesa di una risposta definitiva, tutto ciò è tema di dibattito ed apre le porte a risvolti interessanti. Scenari futuri che allargheranno la questione sulla presenza umana passata o futura sul pianeta. Ad oggi, non sappiamo ancora se c’è o ci sia stata vita extra terrestre su marte, ma la scoperta di acqua ne aumenta concretamente la possibilità.


Terra promessa: gli Hunza, il popolo più longevo del mondo

Immaginate un posto dove non ci si ammala, né di cancro né di altre malattie. Dove tutti vivono sopra i cento anni, nessuno escluso. Dove la salute è ottima senza problemi di vista e udito. Dove si respira aria buona e si beve acqua pura. Dove non c’è stress, traffico ed inquinamento.

In una valle del Pakistan del Nord, nei pressi del confine cinese, tutto questo è pure realtà. La valle dell’Hunza è un territorio situato a 2438 metri di altezza ai piedi della catena montuosa dell’Himalaya, ed è abitata da una comunità che prende il nome dalla valle stessa, gli Hunza appunto, famosi per essere considerati i più longevi del mondo. Qui, infatti, l’età media supera i 130 anni di età ed alcuni riescono a vivere fino a 140 anni.

Alimentazione sana e digiuno

Alla base di tale record non ci sono trucchi o miracoli, ma il processo di rallentamento delle cellule del corpo dettato da un particolare stile alimentare. La valle dove questo popolo abita è caratterizzata da un territorio roccioso, poco irrigabile e quindi non predisposto per l’allevamento ed il pascolo degli animali.

Ragion per cui, gli Hunza vivono con i prodotti derivanti da un’agricoltura di sussistenza. Occasionalmente si nutrono anche di carne, ma principalmente di gallina o di pecora. È errato quindi dire che gli Hunza sono una comunità vegetariana, ma la ragione per cui non mangiano molta carne è direttamente implicabile alla morfologia del loro territorio.

La loro dieta si basa su verdura, cereali e i prodotti derivanti dal latte quali ricotta, formaggio e burro. Come bevande acqua ed un vino prodotto in casa con l’uso di uva selvatica. Un abitudine alimentare apparentemente non lontana dalla nostra se non fosse per alcuni periodi di semi digiuno in primavera a cui seguono alcune settimane di digiuno completo.

Durante il semidigiuno, della durata di due mesi, gli Hunza si nutrono solamente di frutta secca raccolta e conservata durante l’anno; nelle settimane in cui invece non mangiano alcun cibo, essi si nutrono essenzialmente di acqua.

Infatti c’è da specificare che vista la posizione geografica e l’altura, non solo l’aria è più pulita a beneficio della produzione di globuli rossi, ma soprattutto essa è alcalina. Si compone quindi di molte proprietà nutritive, antiossidanti e terapeutiche rendendo stabile il PH del sangue.

Altro che “antichi”

La loro giornata è caratterizzata da un’intensa attività fisica fatta di lunghe camminate alla ricerca di cibo e di terreni fertili che coinvolge tutta la comunità, giovani e vecchi, donne e bambini. Gli Hunza sono un popolo che è rimasto isolato per molti anni, anche a causa dell’assenza di vie di comunicazione che collegavano i loro luoghi con i centri più industrializzati.

Non per questo si può affermare che sono un popolo arretrato. C’è infatti il concetto di famiglia, c’è parità tra uomo e donna, ci sono diritti per tutti e c’è una gerarchia di ordine religioso che regola il funzionamento della comunità.

C’è soprattutto un rispetto reciproco assoluto basato su condivisone, amore e solidarietà. Ma soprattutto c’è salute e non c’è sofferenza, nemmeno quando arriva, purtroppo anche per gli Hunza, quella fine naturale chiamata morte.


Ovunque nel mondo

Da sempre fulcro della cultura e del sapere, la biblioteca ha rappresentato nel tempo il simbolo della storia e della tradizione di un popolo. Le troviamo in tutto il mondo e soprattutto, a differenza delle Università, sono presenti ovunque: dalle grandi città ai piccoli borghi, nessuno escluso.

La biblioteca, da spazio riservato quasi esclusivamente a letterati e scienziati, è diventata oggigiorno accessibile a chiunque abbia voglia di conoscere in modo autonomo e gratuito. Un processo importante e prezioso che fanno delle biblioteche un luogo vitale e non sostituibile da nessuna lettura virtuale fatta nei moderni tablet o smartphone.

Le biblioteche stanno quindi riacquistando il loro assoluto valore e sempre più provvedimenti ed iniziative vengono promossi per conservare o risanare questi luoghi “sacri” che molte volte vengono trascurati da autorità e collettività.

Una delle ristrutturazioni più recenti riguarda la più antica biblioteca del mondo. La troviamo a Fez, nella parte settentrionale del Marocco. Un luogo mistico dove storia, profumi, colori e cultura si mischiano dando vita ad una città che è famosa per essere la culla degli usi e della cultura islamica.

Un patrimonio da conservare

Fondata nell’ 859 da una studiosa ed intellettuale musulmana, Fatima Al-Fihry, la biblioteca era stata affetta nel corso del tempo da molti problemi tecnici ed impedimenti strutturali che mettevano in serio rischio la conservazione delle opere presenti all’interno, soprattutto quei rari ed antichi manoscritti dei filosofi arabi.

Le condizioni climatiche del luogo, caratterizzate da alta umidità, e la scarsa, se non assente, manutenzione, avevano portato alla momentanea chiusura della biblioteca di Fez, detta anche biblioteca Al Qarawiyyin. Dopo tre anni di lavori, a maggio 2016, la biblioteca è stata riaperta.

Tra le soluzioni più importanti, è bene citare che la nuova struttura sfrutta dei pannelli solari per utilizzare l’energia del sole e si è dotata di un impianto per la regolazione della temperatura, in modo da combattere il grande problema dell’umidità.

La biblioteca, dotata anche di nuove sale letture, aree per il ristoro e nuovi uffici amministrativi, è inserita in un progetto volto ad esporre mostre temporanee o permanenti all’interno della cupola risalente al tredicesimo secolo.

Il nuovo centro di aggregazione

E così la biblioteca più antica del mondo è salva e non è più in pericolo, guerre civili e terrorismo permettendo. A riaprire non è solo la biblioteca, ma ritorna soprattutto l’accesso libero ed autonomo alla lettura di un popolo, desideroso di confrontarsi e di assorbire le conoscenze conservate tra gli scaffali della stessa.

Il processo di rinnovamento e di apertura culturale non riguarda soltanto studenti e ricercatori, ma la libreria sarà aperta al pubblico e quindi al popolo. Si crea così, a Fez e nel mondo, un nuovo concetto di biblioteca, non costituita soltanto da libri ma fatta di idee nuove che hanno la possibilità di essere condivise, pensate e sviluppate in questo luogo.

La biblioteca si afferma così come il nuovo centro di aggregazione per coloro che riescono a svincolarsi dal mondo virtuale che non potrà mai esaudire la nostra sete di cultura.


Parigi capitale culinaria del mondo

C’è ben altro a Parigi oltre alla Torre Eiffel ed al Museo del Louvre. La capitale francese non è più infatti soltanto il centro della moda o dell’arte contemporanea, ma si sta affermando prepotentemente come capitale gastronomica d’Europa e del mondo.

Formaggi, panetterie, mercati e croissant, fanno di Parigi la destinazione ideale di quei turisti desiderosi di concedersi dei bei spuntini tra un museo e l’altro. Diventare cuochi richiede molta passione ed un bagaglio di conoscenze enormi per soddisfare le esigenze sempre più particolari dei consumatori.

Spesso i diplomi professionali ottenuti dagli Istituti alberghieri non sono più sufficienti per coloro che aspirano ad allargare i loro confini e la loro cucina. Ed è per questo che sono nate nel tempo vere e proprie scuole di cucina che mettono a disposizione programmi specifici o corsi di laurea che sono capitanati da chef di fama internazionale.

Le Cordon Bleu: Gastronomia dal 1985

Une delle più importanti al mondo ha sede proprio nella capitale francese. Stiamo parlando de “Le Cordon Bleu”, istituto che da più di cento anni offre corsi di cucina di alta qualità per coloro che vogliono cimentarsi professionalmente nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità.

Fondata a Parigi nel 1985, la scuola si è affermata in modo tale da essere presente attualmente in 23 paesi in tutto il mondo. Le Cordon Bleu è diventata così l’istituto di riferimento nel panorama mondiale per i suoi metodi di insegnamento e la collaborazione con importanti chef e pasticceri francesi ed internazionali.

L’offerta formativa si divide in corsi, diplomi e lauree triennali che sono insegnate nella doppia versione francese ed inglese. Tutti i programmi si svolgono all’interno del campus parigino che, situato sulle rive del Senna, si sviluppa su quattro piani dove stanze dimostrative si affiancano a quelle pratiche.

Per ogni tipo di esigenza

I corsi sono essenzialmente due: il primo, della durata di due settimane, si focalizza sui cambiamenti che la gastronomia sta subendo oggi e si intitola “gastronomia e arte della tavola”; il secondo invece è un corso di enologia che si basa su due moduli.

Il primo è dedicato alla conoscenza dei vini e dei liquori francesi mentre il secondo si incentra sulla degustazione dei vini provenienti dal resto del mondo.

I diplomi invece sono più lunghi dei semplici corsi in quanto hanno una durata che varia dai 9 ai 12 mesi dove lo studente ha l’opportunità di specializzarsi in varie discipline, sei in totale: diploma di pasticceria, di cucina, di boulangerie, di gestione di un ristorante, di cucina e pasticceria e di vino. Tutti i diplomi sono programmi a tempo pieno.

La scuola mette a disposizione anche due corsi di laurea triennale. Il primo è una laurea in Business delle arti culinarie mentre il secondo riguarda la gestione internazionale dell’ospitalità.

Prima di inserirsi nel mondo del lavoro, gli studenti hanno la possibilità di mettere in pratica sul campo le conoscenze acquisite attraverso stage nei più importanti ristoranti francesi. Inoltre, tutti riceveranno un diploma o un attestato che è riconosciuto a livello mondiale e che può rappresentare un apripista per una carriera vincente.


Come cambia il mercato del lavoro: gli impieghi nella storia

La maggior parte usciva dalla scuola superiore. Solo qualcuno dall’Università. Venivano assunti con un contratto fisso per svolgere un lavoro che nella maggior parte dei casi restava lo stesso per tutta la vita. Non è una leggenda antica, ma è semplicemente la storia delle passate generazioni, nostri genitori compresi.

Un’immagine lontana, sbiadita non dal tempo, ma dal sorgere di crisi economiche e finanziarie, tecnologia e nuove forme contrattuali. Se guardiamo al Diciannovesimo secolo, possiamo notare come il lavoro era un elemento stabile e dovuto che non destava alcuna preoccupazione.

Erano gli anni dell’industrializzazione, caratterizzati da un mercato che richiedeva soprattutto operai e lavoratori manuali. Nel Novecento le figure richieste cominciano a cambiare e inizia quel processo che prende piede sempre di più nel Ventunesimo secolo, basato su lavori da impiegato.

Non è cambiata solo la tipologia di lavoro ma sono cambiate le caratteristiche di coloro che si affacciano sul mondo del lavoro. Il livello di istruzione è decisamente aumentato e gran parte dei giovani posseggono un titolo universitario, laurea o master. Avviene quindi una livellazione delle capacità dei futuri lavoratori che fanno sempre più difficoltà a prevalere in un mercato molto competitivo.

Il nuovo scenario del mercato del lavoro

È cambiata anche e soprattutto la durata del rapporto di lavoro. Il posto fisso non esiste ormai più e l’elemento che contraddistingue il mondo del lavoro oggi è senza dubbio la precarietà. Stage, contratti a progetto, contratti a tempo determinato e chi più ne ha più ne metta.

Tutto questo ha reso instabile il lavoro, quell’elemento che negli anni passati era sinonimo di identità, affermazione e solidità, insieme alla famiglia. Provvedimenti decreti e leggi hanno consentito la creazione di forme di assunzione rapide e temporali che incrementano due elementi presenti nel mercato del lavoro odierno, la flessibilità e la mobilità, che coinvolgono moltissimi aspetti.

La flessibilità riguarda gli orari di lavoro che sono stati stravolti mentre la mobilità contraddistingue la carriera del lavoratore, sempre pronto e disposto a cogliere le opportunità che si presentano non solo nel proprio Paese, ma anche in un contesto internazionale.

Un mercato del lavoro globalizzato

Dietro alle grandi opportunità offerte alle aziende, la globalizzazione ha però messo in concorrenza anche i lavoratori. Il concorrente non è più il mio vicino di casa o il mio ex compagno di banco, ma qualunque persona stia cercando un lavoro nel mio campo in quel preciso istante e in ogni parte del mondo.

Sono cambiate anche i mezzi con cui si ricerca un impiego. Il vecchio curriculum cartaceo da stampare e da consegnare manualmente è ormai soltanto un ricordo romantico. Siti web e social network hanno occupato la scena e velocizzato le operazioni che si possono svolgere comodamente seduti da casa.

Tutti i Paesi e le aziende si ritrovano così in un posto solo che non è il mondo, ma è il web. I colloqui reali stanno perdendo il passo di fronte a test attitudinali sempre più complicati o videochiamate in tempo reale che collegano datori di lavoro e potenziali lavoratori che si possono trovare in continenti diversi.

Un’evoluzione che non conosce sosta, e che porterà negli anni a seguire ad ulteriori novità e modelli contrattuali. Sperando che siano migliori (e più stabili) di quelli odierni.


Momento del parto: il miracolo della vita

Non sappiamo quando un bimbo si renda conto per la prima volta di essere al mondo. Se c’è consapevolezza di vita già dopo il concepimento o se il mondo gli si illumini solo dopo che viene dato “alla luce”. La nascita di un bimbo affascina e spezza il respiro anche ai più duri di cuore.

Per il suo processo di attesa lungo quasi un anno, per le aspettative che si nutrono intorno al nuovo nato o per la vita di una famiglia che cambia e cresce. La nascita è infatti un evento maturato, vissuto, che incide non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente. E poi finalmente il parto. Una vita nuova, una nuova creatura al mondo, un nuovo inizio.

Il legame indissolubile con i genitore: dal primo momento a tutta la vita

C’è qualcosa che va oltre al taglio del cordone ombelicale, ad un vestito o ad un braccialetto di riconoscimento. Questo qualcosa è una relazione indissolubile che nasce fin dal primo istante insieme alla nascita stessa. Un collegamento fisico e psichico tra genitori e neonato che gli esperti indicano con il nome di “bonding”, ossia legame.

Un senso di attaccamento e appartenenza che il bimbo ha nei confronti di un padre ed una madre che si confrontano non più con un sogno ma con loro figlio, un bambino “carne e ossa”. Questo da vita ad un’energia forte perché nuova e positiva che le due parti, genitori da un lato e neonato dall’altro, si scambiano a vicenda in modo percepibile.

Inizia così un processo di riconoscimento reciproco attraverso il quale il bimbo si apre al mondo lasciando che uno stato di dormiveglia si sostituisca la pianto iniziale. Un’apertura che sa di scoperta, di ascolto del battito cardiaco genitoriale e di orientamento fisico e visivo. Il bambino è già infatti, in questa fase, in grado di registrare e memorizzare le prime immagini.

Il contatto: il primo linguaggio del neonato

Una fase di poche parole, ma tante emozioni. Un silenzio che dice tutto e lascia parlare le sensazioni che gli occhi ed il cuore trasmettono. Ed è per questo che, quando le situazioni lo permettono e in assenza di spiacevoli complicazioni, è importante che il neonato venga subito messo tra le braccia della mamma, pronta a fargli sentire la sua voce, il suo battito e le sue sensazioni.

Tra le braccia materne, o paterne, il bimbo si sente già a casa, protetto e sicuro tra la sua famiglia. Un’attenzione specifica e fondamentale che deve essere data fin dall’inizio per non far sentire il piccolo abbandonato e trascurato.

È infatti importante sapere che nei minuti che seguono il parto, il bimbo tende ad essere colpito non solo dalla luce e dai rumori, ma anche dalla temperatura e dalla sensazione di vuoto a causa dell’assenza di acqua. Ed è così che il piccolo cerca un luogo dove stare in equilibrio ed al sicuro, trovandolo tra le braccia e sulla pancia della mamma.

Un momento di grande valore che si può protrarre in alcuni casi per un paio di ore per mettere le fondamenta a quello che sarà un rapporto inseparabile per gli anni che seguiranno. Un’esperienza diretta i cui benefici di breve e lungo termine non sono misurabili da nessuno studio o ricerca scientifica.


Teatro della scala: a culla culturale italiana

Quando si parla di Scala, non serve necessariamente specificare cosa esso sia. Principale teatro d’opera sulla scena italiana e mondiale, il teatro della Scala si trova a Milano e prende il nome dall’omonima piazza dove esso sorge, Piazza della Scala.

Forma a ferro di cavallo ed acustica perfetta, il teatro era un tempo il luogo d’incontro riservato quasi esclusivamente dall’aristocrazia lombarda che occupava tutti gli ordini di palchi tra banchetti e feste.

Dopo la dominazione austriaca, il teatro è tornato prepotentemente ad essere il centro culturale per eccellenza dell’Italia richiamando ogni anno regnanti, ministri e personaggi famosi. Negli anni alla Scala si sono esibiti i più importanti compositori del mondo: da Giacomo Puccini a Nicolò Paganini, da Gioacchino Rossini a Giuseppe Verdi, fino ai moderni registi come Franco Zeffirelli.

Nascita, morte e resurrezione: le due vite del Teatro

Progettato da Piermarini, ispirandosi alla reggia di Caserta ideata da Luigi Vanvitelli, il Teatro della scala fu un vero e proprio modello a cui vari teatri, italiani e non, si ispirarono. La sua esistenza è però spezzata in due da uno spartiacque che ha segnato la storia dell’umanità, la Seconda Guerra Mondiale.

Nell’agosto del 1943 si chiudeva infatti la prima epoca del teatro, inaugurato nel 1778 con il nome di “Nuovo Regio Ducal Teatro” e crollato sotto i bombardamenti britannici. Il teatro restò lì, abbattuto e distrutto, simbolo di un paese in ginocchio ma pronto a rialzarsi nel giro di qualche tempo.

Si devono aspettare tre anni prima di poter assistere al primo spettacolo in un Teatro della Scala nuovo, ristrutturato e pronto a mostrare al mondo tutto il suo splendore. Nel maggio del 1946, precisamente l’undici, il Teatro della Scala riapre i battenti per dare continuazione a quella vita bruscamente interrotta.

Un evento atteso da anni che fu seguito da più di tremila persone, intrepide di assistere alle note del maestro Toscanini, direttore artistico del teatro negli anni venti che aveva dovuto abbandonare il Paese alla volta dell’America per fuggire alle persecuzioni razziali del regime fascista. Tornato in Italia, Toscanini fu il principale finanziatore della ricostruzione dello stesso.

La rinascita non solo di un teatro ma di un Paese

Quella data segnò l’inizio di una nuova era non solo per il teatro stesso ma anche e soprattutto per Milano e per l’Italia intera. Un evento non teatrale ma sociale, tanto che il concerto venne riprodotto attraverso auto parlanti in diverse piazze milanesi, tra cui la Piazza del Duomo gremita in ogni ordine di posto da ogni tipo di gente, soprattutto operai e milanesi del ceto medio.

Un Paese che, attraverso la musica e attraverso l’opera , aveva bisogno di far sentire la sua voglia di ripartire e la sua libertà riconquistata dopo i vari anni bui della Seconda Guerra.

Un orgoglio nazionale ritrovato che voleva essere mostrato a tutti. Oggi, dopo 70 anni dalla “rinascita”, La Scala non smette di perdere il suo fascino e la sua importanza. Ogni anno la stagione teatrale presenta ospiti nazionali ed internazionali all’interno di una struttura che può ospitare fino a 2030 persone.


Ozono, non solo conosciuto come buco

Nella credenza popolare, l’ozono troppo spesso è legato ad un concetto di negatività e pericolosità. Si parla di ozono e subito si pensa al buco che lo caratterizza, il buco dell’ozono. Eppure questo gas presente nell’atmosfera è indispensabile per la sopravvivenza di tutti gli esseri umani in quanto svolge il prezioso compito di proteggerci dai raggi ultravioletti generati dal sole.

Un’azione essenziale, naturale e vitale che è però diminuita negli corso del tempo, non solo per fattori naturali ma soprattutto in seguito all’azione e alle scelte maturate dell’uomo. Le attività industriali, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, hanno infatti rilasciato nell’atmosfera delle sostanze molto inquinanti, in particolare quei tanto famosi clorofluorocarburi che si trovano in particolare in spray, detergenti e solventi.

Essi hanno la capacità di distruggere le molecole di ozono assottigliando quindi il suo strato, detto ozonosfera, che non è più in grado di proteggere l’uomo che si trova così esposto ai raggi UVB.

Questo mette in pericolo seriamente la vita dell’uomo in quanto aumenta il rischio di cancro alla pelle. Inoltre è molto importante ricordare che, molte sostanze dannose per l’ecosistema possono mantenersi nell’atmosfera per moltissimi anni, alcuni addirittura una secolo, rendendo la situazione perfino peggiore.

Buone nuove

Il buco dell’ozono sembrava quindi appartenere alla categoria di quei problemi irrisolvibili, destinati a durare in eterno e pronti a degenerare da un momento all’altro. Invece pare che oggi, dopo anni di protocolli, accordi e divieti di utilizzo di prodotti chimici contenenti bromo e cloro, la situazione stia migliorando e si stia assistendo ad una lenta ma progressiva diminuzione del cosiddetto “buco nero”.

È questo quanto evidenziato dal MIT, affidabile Istituto americano che si occupa di tecnologia e scienza che ha pubblicato i risultati della sua ricerca svolta prendendo in considerazione il buco dell’ozono sull’Antartide.

Non si è arrivati quindi ad una soluzione completa del problema, ma siamo di fronte ad una notizia indubbiamente positiva. Un risultato eccezionale e degno di nota a cui hanno anche contribuito fattori naturali quali l’aumento della temperatura nell’atmosfera e la riduzione delle eruzioni dei vulcani.

L’uomo non sa solo distruggere

È indubbio come il fattore umano abbia fatto la sua parte. L’uomo non è capace soltanto di distruggere ma quando chiamato in causa, sa anche impegnarsi per trovare soluzioni ambientali che apportano dei benefici alla collettività.

L’industria moderna ha saputo aprirsi ed in alcuni casi convertirsi all’utilizzo di tecnologie nuove e prodotti più rispettosi dell’ambiente tanto che oggi, se escludiamo alcuni vecchi impianti frigoriferi, le emissioni di clorofluorocarburi sono quasi assenti. Una scelta saggia fatta con consapevolezza, maturità e rispetto delle nuove generazioni.

Sarebbe sbagliato cantar vittoria proprio adesso ma non possiamo nemmeno negare i bei traguardi raggiunti. Essi sono passi avanti di un processo di intenzioni e comportamenti a cui va data continuità per non vanificare gli sforzi fatti precedentemente e per contribuire alla soluzione definitiva del problema.

Soluzione che non è immediata ma che richiede ancora molta pazienza, impegno e collaborazione internazionale. Ma la strada è senza dubbio quella giusta.


Sisma ingestibile: il Nepal dopo il terremoto del 2015

Scossa di magnitudo 7,9. Quasi 9000 persone morte. Più di 600 mila case rase completamente al suolo. Sono solo alcuni dei numeri del devastante terremoto che ha colpito il Nepal nell’Aprile dello scorso anno. Un evento improvviso e così violento da mettere in ginocchio un Paese che oggi appare ancora colpito dal sisma, soprattutto a livello strutturale e abitativo.

Dopo i primi sostegni monetari del governo locale, i fondi stanziati per la ricostruzione delle abitazioni non sono ancora stati ricevuti dagli abitanti nepalesi. È vero che le macerie sono state rimosse quasi del tutto, ma la ricostruzione delle case non è ancora cominciata.

Subito dopo il terremoto infatti non è stata solo la gente a doversi riorganizzare, ma soprattutto il governo. Nel settembre successivo al sisma, il Nepal è diventato una repubblica federale a carattere laico, con conseguente proteste civili di alcuni popoli che abitano le regioni confinanti con l’india.

Tutto ciò ha creato ulteriore disagio rispetto a quello già generato da un evento sismico così drammatico mai accaduto prima. Ne è derivata una forte crisi del governo che si è fatto trovare impreparato alla gestione dei fondi (si parla di quattro miliardi di dollari) provenienti dalla comunità internazionale.

Una ricostruzione fai da te

La conseguente immobilizzazione ha impedito alla gente di poter contare sull’aiuto statale per la ricostruzione delle abitazioni distrutte. Coloro che possono contare su un familiare che vive o lavora all’estero sono riusciti a ricostruirsi un’abitazione in modo indipendente.

Spesso sono abitazioni di fortuna in legno con un tetto di lamiera in quanto, viste le caratteristiche morfologiche del territorio, molti villaggi non sono raggiungibili se non a piedi e quindi non è pensabile trasportare o costruire case in cemento armato.

Il resto, quasi tre milioni di nepalesi, sono ancora sfollati e lontani dal luogo in cui sono nati. La maggior parte vive in abitazioni temporanee fatte di lamiera mentre gli altri in quelle tende che sono state installate nei giorni seguenti la catastrofe.

Al via la ricostruzione: i segnali positivi

Il sisma, non ha danneggiato soltanto edifici privati, ma anche scuole, chiese, ospedali e gran parte del patrimonio culturale di quella che era un’importante attrazione turistica, fatta di templi e di sontuose montagne. Oggi, qualcosa si sta cominciando a muovere.

Non solo i turisti di tutto il mondo sono tornati a visitare il Paese contribuendo direttamente all’economia locale, ma pare che Il Primo ministro abbia dato il via ai lavori di restauro delle opere pubbliche partendo dalla capitale del paese, Kathmandu.

Passeranno ancora molti mesi prima che il tempio di Anantapur o il Palazzo Reale vengano ricostruiti e passeranno forse anni prima che gli abitanti potranno tornare di nuovo a vivere in case fatte di tetti e mura.

Passerà ancora di più o forse non accadrà mai che il Nepal si munisca di una carta del rischio sismico, ancora inesistente, fatta eccezione per la capitale Kathmandu. Ma questa è un’altra storia. Un passo alla volta: ricostruire prima.


Velocità istantanea: come cambia il modo di comunicare

Messaggi istantanei, mail, post, e chat di gruppo. È il nuovo modo di comunicare dell’era che stiamo vivendo. Una digitalizzazione estesa che ha investito molti aspetti della nostra vita, tra cui la comunicazione stessa. Quel desiderio dell’essere umano di condividere parole e sensazioni con qualcuno non è quindi morto, ma si è evoluto.

È cambiato e si è adattato ai tempi moderni, dove spesso non riusciamo a stare al passo di una vita che va troppo veloce. Sono infatti cambiati i ritmi di una giornata che non ha tempo di fermarsi, ma preferisce leggere le informazioni da uno schermo che le mostra in ordine cronologico e preciso.

I social hanno radicalmente cambiato la comunicazione, una volta per tutte. Una password, un contatto mail e sì è miracolosamente in contatto con amici vicini e lontani. Non servirà scrivere a nessuno, ma sarà sufficiente un post o una foto che comunicare uno stato d’animo, una sensazione, un’emozione.

Una comunicazione quindi veloce, rapida, senza perdite di tempo e soprattutto senza carta e penna. Addio quindi a cartoline, lettere, telegrammi o fax per lasciar spazio ai metodi moderni, forse meno romantici, ma molto più veloci ed efficaci.

Addio chiamate

Se per i giovani questo modo di relazionarsi è scontato e normale, le generazione passate trovano difficoltà nell’adattarsi alla nuova epoca. Sono coloro che erano abituati al rapporto faccia a faccia facendo a meno di oggetti tecnologici che operassero da veri e propri ponti.

Sono coloro i quali hanno accolto novità così rivoluzionarie come il telefono cellulare e che oggi, di fronte a questo ulteriore avanzamento tecnologico, non riescono a stare al passo e conservano con orgoglio quello che appaiono agli occhi dei più giovani vere e proprie “tradizioni” legate al mondo della comunicazione, come la chiamata.

I nostri genitori infatti, così come i nostri nonni, si confermano gli amanti per eccellenza delle conversazioni telefoniche. Riescono ancora a ritagliarsi un po’ di tempo e dedicarlo esclusivamente ad una sola persona, dandogli un’attenzione che è rara in questi tempi.

I giovani invece no: per loro la comunicazione è multipla e non unidirezionale come in passato e diverse sono quindi conversazioni aperte allo stesso momento. Ormai abbandonate sono le chiamate che stanno sempre più perdendo il passo con i preferiti messaggi vocali che, oltre ad essere più economici, associano la funzione di un normale messaggio con la possibilità di ascoltare la voce dell’altra persona.

Non smettere di comunicare

E così la comunicazione non è più nelle strade o nelle piazze ma è nelle case, negli schermi di computer e telefoni di tutti quegli utenti registrati o appartenenti alla nostra comunità virtuale. Se prima la comunicazione era rappresentata da un atteggiamento, un modo di fare, di guardare o ad un’azione, ora tutto è concentrato in messaggi rapidi dal linguaggio semplice e modificato.

Una comunicazione efficace ma sicuramente molto più fredda, dove non c’è contatto, al di fuori di quello delle nostre dita con la tastiera. Come tutte le cose di cui possiamo beneficiare sulla faccia della terra, non condanniamo l’uso ma l’abuso, in questo caso, di strumenti che sono potenzialmente utili, ma che portano all’isolarsi in una realtà virtuale e di plastic.

Ed è bene quindi fermarsi ogni tanto e pensare che, indipendentemente dal mezzo che usiamo, non dobbiamo dimenticarci mai di esprimere i nostri sentimenti.